MACCHI - Mimmo: passione US Naval Aviation

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AERONAUTICA MACCHI
Nieuport-Macchi
Aeronautica Macchi
Aermacchi
Alenia Aermacchi
Divisione Velivoli di Leonardo Company
Sistema di designazione in uso tra il 1917 ed il 1922
Conosciamo benissimo la Macchi, è la più longeva azienda italiana del settore; essa incominciò come Aeronautica Macchi nel 1912, come costruttore su licenze altrui, e rimase presente sul mercato internazionale fino al 2003, quando fu acquisita da Finmeccanica e fusa con Alenia per formare Alenia Aermacchi. Oggidì le sue risorse risultano inglobate nella Divisione Velivoli della Società Leonardo.
Come Italiani ne conosciamo la storia, i successi e la capacità di risorgere dopo le distruzioni della guerra e le limitazioni del trattato di pace.
Dopo un primo periodo di costruzioni su licenza di prodotti francesi Nieuport e Hanriot (e di copie di progetti austriaci Lohner), la Macchi si lanciò nella progettazione e costruzione di un’intera famiglia di monomotori idrovolanti a scafo biplani,  addestratori, caccia, bombardieri e finanche aerei da corsa; sono i modelli che partono dall’M-3 del 1916, con 160 cavalli, ed arrivano all’M-18 del 1921, bombardiere monomotore di quasi 4 tonnellate e con 250 cavalli e all’M-19 da corsa, con 650 cavalli. A questo seguì l’M-24 del 1924, bimotore, che poteva superare le 5 tonnellate con 1000 cavalli complessivi. Di nuovo da corsa fu l’M-33 del 1925, monomotore da 450 cavalli. Nel 1930 fu introdotto l’M-41, che era invece un caccia monoposto; esso era equipaggiato con 420 cavalli che portavano le sue 1.6 tonnellate a 260 Km/h. La serie di caccia idrovolanti a scafo culminò con l’M-71 del 1930, che era modernizzato rispetto al -41, ma rimaneva con le sue stesse prestazioni.
Idrovolanti a scafo furono anche i trasporti passeggeri MC-94 del 1936 e MC-100 del 1939; entrambi monoplani con ala alta, il primo bimotore da 1600 cavalli complessivi e 12 posti ed il secondo trimotore con 2400 cavalli e 26 posti, gli uomini di equipaggio erano 3 per entrambi.
Gli aerei terrestri vennero alla ribalta con l’M-14 del 1918, un caccia biplano terrestre da 110 cavalli. Poi ci fu l’M-15 del 1922, biposto con missione di ricognizione armata, monomotore con 320 cavalli. L’M-20 del 1922 fu invece un aereo da addestramento civile, monomotore biplano biposto con appena 45 cavalli di potenza, esso durò in servizio fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Un altro aereo molto leggero fu l’M-70, biplano biposto monomotore da turismo, con 80 cavalli.
Dall’architettura a scarponi fu invece costituita tutta la famosissima serie di idrovolanti monoplani da corsa per la Coppa Schneider che partì dall’M-39 del 1926 che raggiungeva i 440 Km/h con i suoi 800 cavalli. L’M-52bis del 1929 aveva invece 1000 cavalli e volava a 512 Km/h. Del 1929 fu anche l’M-67 che riuscì a raggiungere i 560 Km/h con ben 1800 cavalli. Gli Inglesi molto “sportivamente” chiusero il premio con la loro vittoria nel 1931, ma in quello stesso anno volò il tutt’ora imbattuto MC-72, nel senso che a lui appartiene il record di 746 Km/h, ottenuto con ben 2850 cavalli (che sarebbero da definirsi complessivi, dato che l’unità motrice era costituita in realtà da due Fiat AS.6 da dodici cilindri ciascuno).
L’esperienza di quei fantastici aerei fu certamente sfruttata dall’ing. Castoldi per i caccia della “serie 200”. L’MC-200 del 1937 con motore radiale Fiat e soli 870 cavalli era un monoplano ad ala bassa e carrello retrattile che poteva raggiungere 500 Km/h. A quell’epoca i punti deboli della tecnologia italiana erano proprio i motori e quando, nel 1941, i Tedeschi resero disponibili i motori Daimler-Benz a 12 cilindri a V che fornivano 1200 hp (prodotti da Alfa Romeo), volarono gli MC-202 che raggiungevano 600 Km/h. Un anno dopo furono disponibili anche i motori da 1500 cavalli e fu possibile realizzare gli MC-205 che raggiunsero i 640 Km/h. Nello scontro gli Alleati li temevano, a causa della loro grande maneggevolezza; purtroppo, però, prodotti in numeri irrisori rispetto a quelli dei loro avversari, non poterono con la loro azione influire sul corso della Guerra.
Nel dopoguerra, a causa delle limitazioni imposte dal trattato di pace, la Macchi poté sviluppare solo aerei leggeri e non da combattimento. Si incominciò con i motoelica; il modello MB-308 del 1947 fu un piccolo monomotore ad ala alta da turismo, utilizzato anche per l’addestramento primario; con 85 cavalli, volava a 200 Km/h. Un buon successo è l’SF-260, addestratore da 260 cavalli prodotto in quasi 900 unità ed esportato in diverse nazioni. Gli aerei a getto includono l’MB-326, addestratore di cui, in seguito, si poté anche sviluppare una versione da attacco leggero; anch’esso fu costruito in circa 800 esemplari e fu esportato con successo. Dal ‘326 fu sviluppato l’MB-339 ed in questo settore si è arrivati all’avanzatissimo M-346 che oggi è sicuramente il prodotto di punta.
Aermacchi ha anche incorporato due aziende italiane di lunga tradizione aeronautica: la SIAI, discendente dalla Savoia-Marchetti, e la antica Caproni. Della prima ha modernizzato un precedente progetto, lo S-211, generando lo M-345, velivolo da addestramento ed attacco leggero dell’ultima generazione; della seconda ha ereditato le risorse nel campo degli alianti, sviluppando il motoaliante addestratore M-344.
Non sono mancate collaborazioni esterne, prima con l’Aeritalia per lo sviluppo dell’AM-3, aereo da collegamento e osservazione, con ala a parasole, equipaggiato con un motore boxer da 340 cavalli; in seguito, con la brasiliana Embraer si è sviluppato e prodotto l’AMX, aereo da attacco al suolo leggero.
Sono ancora da segnalare le sue collaborazioni ai programmi Tornado ed Eurofighter, ed al programma C-27J.
Non posso non segnalare la presenza nel mercato motociclistico, tra gli anni ’50 e ’70, non certo massiva, ma indimenticabile per noi Italiani.
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