McDONNELL DOUGLAS - Mimmo: passione US Naval Aviation

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McDONNELL DOUGLAS
McDonnell Douglas Corporation
  • Douglas Aircraft Company, Division of MDD
  • McDonnell Aircraft Company, Division of MDD
Sistema di designazione contemporaneo (in uso dal 1962)
La McDonnell Douglas Corporation (MDD) nacque, come dice il suo stesso nome, dalla fusione dell’azienda di Saint Louis, nel Missouri e di quella di El Segundo, in California, nel 1967; la prima aveva avuto un grosso appalto dalla US Navy ed aveva bisogno di ingrandirsi rapidamente e la seconda, anch’essa fornitrice di quella forza aerea, stava affrontando il mercato dei “wide bodies” ad aveva bisogno investimenti immediati.
Il primo progetto ad essere portato avanti dalla neonata azienda fu infatti il DC-10, trasporto passeggeri a doppio corridoio, con nove sediolini per fila. Sviluppato con le esperienze fatte per rispondere alla specifica militare che fu vinta dal Lockheed C-5 Galaxy, il DC-10 era un ottimo velivolo, comodo e silenzioso, ed avrebbe avuto un buon successo se non fosse stato per il particolare momento storico e per uno sfortunato incidente che portò alla perdita di molte vite umane. Nel 1979, in America, un velivolo in decollo perse un motore e ne seguì un tremendo impatto al suolo con i serbatoi ben carichi di carburante; morirono tutti, passeggeri, equipaggio e finanche due malcapitati di terra, in tutto più di 270 persone. Qualche altro fastidio strutturale c’era già stato e l’aereo fu messo a terra dalle autorità. Fu un grosso colpo alle vendite che rimasero senz’altro compromesse. C’era comunque un male oscuro che era dovuto da un lato alla feroce concorrenza del Boeing 747 e dell’altro di quella della nuova generazione dei grandi bimotori, come il Boeing 767 e gli Airbus A300 e i loro derivati, essi rendevano i trimotori un po’ obsoleti; anche il Lockheed L-1011 Tristar, altrettanto buono e comodo, era in difficoltà. Insomma, nei primi anni ’80 la produzione del DC-10 si era già fermata, dopo circa 390 velivoli prodotti; la USAF, un po’ per sue necessità, un po’ per aiutare il costruttore in difficoltà, ordinò una sessantina di aerocisterne KC-10 derivate dalla versione -30; esse furono prodotte fino al 1988. In quegli anni sono stato all’impianto di Long Beach e faceva tristezza vedere un paio di esemplari del trimotore parcheggiati in lontananza, apparentemente abbandonati.
Si tentò di rilanciare il programma con una versione con motori più potenti, con la fusoliera allungata e con molte innovazioni strutturali, avioniche e di gestione del velivolo; il nuovo aereo, MD-11, alle cui winglet ho dato un piccolo contributo nel progetto strutturale, non ebbe comunque un gran successo e la produzione non durò più di 10 anni, a partire dal 1990, con soli 200 esemplari.
Alcuni di quei maestosi trimotori volano ancora come trasporti cargo, alcuni costruiti direttamente in questa configurazione, altri convertiti.
Nel Campo dei trasporti civili, la McDonnell Douglas portò avanti anche tutti i derivati del DC-9, bimotore con i motori in coda, a partire dal Super 80, che poi fu denominato MD-80, fino all’MD-90, passando per MD-81, -82, -83 e -87, in varie configurazioni di cabina passeggeri, sempre più avanzati come motorizzazioni, avionica, struttura e metodi costruttivi. L’ultima versione fu l’MD-95, che fu poi prodotto, dopo la fusione con Boeing, con la designazione 717 e con una configurazione molto corta, per non intersecarsi con il Model 737; quella fetta di mercato, però, non interessava più alla casa di Seattle, in considerazione dell’agguerrita concorrenza degli Airbus a fusoliera stretta, dei brasiliani Embraer, dei canadesi Bombardier e degli inglesi BAe; la produzione fu cessata dopo circa 150 esemplari. Tutta la famiglia di quei bei bimotori totalizzò più di 2800 unità, molte delle quali hanno solcato anche i cieli italiani.
Io personalmente ho lavorato sia sullo sviluppo della fusoliera dell’MD-95, sia, a metà degli anni ‘80, all’installazione di un motore propfan su un esemplare di MD-80, in un programma congiunto con NASA, Boeing (che usò un 737) e con le aziende Pratt & Withney, Allison e General Electric che svilupparono i motori. I progetti furono fermati per immaturità della tecnologia delle pale dei rotori non intubati, oggi, quaranta anni dopo, si sta riprendendo l’idea in considerazione.
Il gruppo di Saint Louis gestì comunque una gran quantità di progetti militari.
Il caccia bombardiere bimotore F-15 Eagle del 1976, prodotto finora (siamo nel 2022) in più poco meno di 1800 esemplari ed in fase di rilancio. Il trasporto militare quadrimotore C-17 Globemaster III del 1995, un gigante capace di trasportare quasi 80 tonnellate di carico; prodotto in quasi 280 unità. L’elicottero da attacco AH-64 Apache, da più di 10 tonnellate, acquisito con la Hughes nel 1984, non meno di 2500 prodotti.
Gli elicotteri monomotori della serie MD-500 e derivati, anch’essi ex-Hughes, intorno ai 5000 esemplari.
Vanno inoltre menzionati il missile terra-terra antinave BGM-109 Tomahawk ed il missile antinave AGM-84 Harpoon.
Per la US Navy, la McDonnell Douglas produsse un certo numero di prodotti praticamente esclusivi.
• Il bombardiere tattico leggero A-4 Skyhawk, dalla versione F in poi.
• Il caccia bombardiere medio bimotore F-4 Phantom II, dalla versione E in poi.
• Il bombardiere tattico leggero VSTOL AV-8A Harrier, prodotto dalla BAe e gestito a Saint Louis nelle versioni A e C, per un totale di 110 velivoli, tutti per i Marines.
• Il successore AV-8B Harrier II e derivati, sviluppato insieme alla BAe e prodotto inizialmente per i Marines.
• Il caccia bombardiere bimotore F/A-18 Hornet, dalla versione A alla D.
• L’addestratore T-45 Goshawk, anch’esso derivato da un prodotto BAe e sviluppato in collaborazione.
• Lo F/A-18E ed F Super Hornet, sviluppo dell’Hornet, solo progettato, in realtà, ma poi prodotto e gestito dopo l’acquisizione da parte di Boeing.
Inoltre, il gigante del Missouri fu presente nel settore spaziale, con vari programmi sperimentali, esso produsse anche velivoli sperimentali per la NASA ed era presente nel settore dell’automazione industriale.
Nonostante la grande intraprendenza del gruppo, negli anni ’80 comunque si accumularono i problemi.
Prima ci fu la perdita della gara per il caccia ATF, alla fine del decennio; la MDD aveva sviluppato insieme alla Northrop un elegantissimo velivolo, l’YF-23, che aveva avuto uno sviluppo quasi decennale; ad esso, però, era stato preferito il meno tecnicamente complesso F-22 Raptor del gruppo capeggiato dalla Lockheed.
In seguito l’azienda non riuscì neanche a superare la “fase eliminatoria” per il concorso JSF, gara che vide selezionati per lo sviluppo il Boeing X-32 ed il Lockheed-Martin X-35. Sappiamo che quest’ultimo fu il definitivo vincitore, dando l’avvio al programma F-35.
Le grandi dimensioni del gruppo non bastarono ad assorbire questi due insuccessi che si sommavano ai problemi degli DC-10/MD11 e all’obsolescenza della famiglia DC-9/MD 90; tutto ciò finì per metterlo in crisi dal punto di vista economico/finanziario.
La Boeing stava “tirando i piedi” al suo ultimo grande concorrente civile già da qualche anno (c’era stato un articolo da Seattle in cui dichiaravano che, a osservare i bilanci della società di Saint Louis, di lì a qualche anno ci sarebbero state le condizioni per l’acquisizione) e nel 1997 operò l’incorporazione. Per rispetto a quella che era stata un grande impresa, incominciata quasi ottanta anni prima, si parlò di fusione ed il logo originale MDD fu incluso in quello Boeing, ma in realtà si trattò di una vera e propria completa acquisizione di controllo, con cambiamento della struttura organizzativa e dismissione di alcuni siti. Il programma che allora si stava sviluppando, l’MD-95, fu continuato come Boeing 717, ma poi fu pian piano azzerato ed il glorioso stabilimento sul Lakewood Boulevard di Long Beach fu dismesso.
Mi dà tristezza il pensiero che gli edifici nei quali ho trascorso con entusiasmo una piccola parte della mia vita professionale oggi non esistono più. Ricordo un lungo corridoio sulle cui pareti erano esposti disegni, quadri e fotografie riguardanti la storia della Douglas. Una foto degli anni ’40, in particolare, mostrava il fondatore, Donald, in giacca, cravatta e cappello; in piedi, appoggiato con l’avanbraccio destro ad una lunga pala d’elica che scendeva dall’alto, egli ci guardava con un sorriso un po’ scanzonato, con le gambe incrociate ed il piede destro puntato in basso, sembrava dicesse con orgoglio: “Questo l’ho fatto io”.
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