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OV-10 vest - Mimmo: passione US Naval Aviation

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North American Rockwell OV-10 Bronco ¤
COSTRUTTORE / MANUFACTURER
North American Rockwell Corp, (later, Rockwell International), Columbus, Ohio
ENTRATA IN SERVIZIO / SERVICE START
1968
UN PO' DI STORIA       
Il Bronco, nella versione A, entrò in servizio nel 1968 e ne furono prodotti non meno di 270 esemplari; essa fu intensamente adoperata in Vietnam, sia dai Marines che dall'Esercito, ma anche la Marina ne equipaggiò uno squadrone, 18 velivoli in dotazione del VA(L)-4.
Il velivolo fu classificato OV, osservazione a decollo corto; era lento, ottimo a basse quote, capace di osservare da vicino il  nemico, di indirizzare le operazioni al suolo, di dirigere il tiro delle artiglierie e di marcare obbiettivi importanti; poteva trasportare squadre paracadutate per l'infiltrazione e barelle di feriti da evacuare, ma era anche capace di scortare e difendere gli elicotteri (armato di missili Sidewinder) e di sferrare attacchi leggeri secondo i criteri della missione COIN, counter-insurgency.
La capacità di portare circa 1,5 tonnellate di carico bellico (in razzi, bombe e sebatoi ausiliari), unite alle quattro mitragliatrici da 7.62, ne facevano un'arma efficiente per la sua missione, tuttavia nacque l'esigenza di adattare il Bronco all'uso notturno. Si sviluppò allora la versione D che fu dotata di visore agli infrarossi e di motori da 1040 cavalli ciascuno; essa fu impiegata anche nella Guerra del Golfo.
Dopo non meno di venticinque anni di servizio, anche per il Bronco venne il momento del riposo; durante gli anni '90 praticamente tutti i reparti che ne erano dotati furono disattivati, tranne il VMO-4 che, però, divenne VMU-4 equipaggiato con aerei unmanned. I Bronco uscirono dal servizio di prima linea e pian piano anche dall'inventario. Le cellule erano tuttavia robuste e la loro vita residua permise di tenerne ancora alcuni in volo, per il diletto degli amatori o come aereo antincendio.
UNA MACCHINA SEMPLICE IN UN MONDO COMPLESSO       
Dopo la Seconda Guerra Mondiale lo scenario politico internazionale si sviluppò sulla base della contrapposizione dei due blocchi. Ci fu una grossa corsa agli armamenti, da entrambe le parti, e si stabilì un equilibrio basato sulla forza di deterrenza delle due "superpotenze", USA e URSS. Il confronto militare diretto fra quelle due nazioni era temuto da tutto il mondo, perché si temeva che si potesse arrivare all'uso di armi atomiche.
Il temuto "scontro tra titani" non avvenne, grazie a Dio, e oggi ci sono pareri secondo i quali esso non avrebbe mai avuto luogo, dal momento che ai governanti di entrambe le parti bastava mantenere in vita lo spauracchio del nemico, con lo scopo di esercitare un certo controllo non solo sui potenziali avversari ma anche sui loro stessi popoli.
Non ci fu vera pace, comunque, perché lo scontro militare tra le due superpotenze si realizzava in maniera indiretta e su base locale, traendo occasione dai tanti motivi di scontro, politici o sociali, diffusi su tutto il globo. Essi si impegnarono a spalleggiare le fazioni contrapposte e ne risultò che dopo la fine della guerra mondiale si svilupparono decine di conflitti locali, alcuni dei quali, purtroppo per tutto il genere umano, mai veramente risolti o sedati.
Tali conflitti, pur violentissimi, sono di "bassa intensità" nel senso militare del termine; essi, cioè, sono di basso livello strategico e vengono condotti da fazioni che possono permettesi solo tattiche di basso livello militare e l'utilizzo di armamenti poco costosi. Anche quando una delle grandi potenze si è trovata direttamente invischiata, ha dovuto subire l'imposizione di guerriglie localizzate da parte di avversari che ben sapevano di non poter sostenere gli scontri "campali" per i quali "i grandi" erano ben organizzati.
Questo è successo in Asia, in Africa, in Medio Oriente, in Sud America e, alla fine del secolo scorso, anche nell'Europa balcanica; le grandi forze armate non hanno potuto usare armamenti sofisticatissimi che erano costati investimenti ingentissimi perché avrebbero dovuto sottoimpiegarli ed esporli a rischi non commensurati ai risultati ottenibili. Tutto questo grazie anche al fatto che l'opinione pubblica mondiale avrebbe mal digerito l'uso di armamenti sproporzionati rispetto alle capacità difensive delle controparti.
Ben presto quindi, nacque, per i grandi, l'esigenza di dotarsi di armamenti adatti più alla guerriglia di basso livello tecnologico che allo scontro diretto contro avversari con uguali capacità di offesa e difesa.
In campo aeronautico dapprima si ricorse all'adattamento di velivoli esistenti, quelli più economici o più vecchi, magari surplus della guerra mondiale; la longevità di velivoli come Cessna Bird Dog o il Douglas Invader vanno viste anche in quest'ottica, finanche i vecchi Skytrain (il DC-3) divennero "cannoniere" e i francesi usavano i Corsair e i Bearcat.
In un secondo momento si pensò a velivoli nati direttamente per lo scopo e alla fine degli anni '50 in America nacque il Grumman Mohawk che avrebbe dovuto soddisfare le esigenze delle tre armi con aeronautica tattica: l'Esercito, la Marina e i Marines. Ci furono difficoltà a fare un aereo economico che rispondesse a tutti i requisiti congiunti ed allora il programma rimase solo in mano ai primi.
Dieci anni dopo, nel '66, dopo l'esperienza della Corea e durante quella del Vietnam, i Marines richiesero nuovamente un aereo specifico e ne venne fuori il Bronco, nato sui tavoli di una delle aziende più valide dell'industria americana, la North American, la madre del Texan, del Mustang, del Mitchell, del Sabre e del Vigilante.
Il progetto del Bronco era semplicissimo, fusoliera sottile, leggera e capiente, ala rettangolare a profilo uniforme, piano orizzontale efficientissimo supportato da travi di prolungamento delle gondole motori, sponson con ben cinque punti di attacco per l'armamento, più due piloni sotto l'ala.
Tre elementi erano di tecnologia spinta: il sistema di ipersostentatori, i carrelli capaci di sostenere vere e proprie cadute, i motori miniaturizzati rispetto alla potenza che potevano erogare; con non meno di 1430 cavalli complessivi, l'OV-10A poteva operare da portaerei, da campi semipreparati a ridosso del fronte e finanche da navi portaelicotteri, dal momento che non abbisognava di catapulte di lancio.
Il pilota e l'operatore, in tandem, avevano a disposizione un vero e proprio "belvedere" che gli permetteva una efficace osservazione e consapevolezza della situazione al suolo.
Quello che mi sorprese quando lo assemblai era il suo assetto “picchiato” quando era a terra; essendo STOL, gli ammortizzatori dei carrelli principali erano adatti a prendere belle botte in atterraggio, essi avevano corse molto lunghe ed erano perciò molto estesi quando l’aereo era “a riposo” cioè a G=1.
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